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Bhopal

IL DISASTRONella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube altamente tossica fuoriuscì dalla fabbrica della Union Carbide India Limited (UCIL) di Bhopal, filiale indiana di uno dei giganti americani della chimica: i morti furono migliaia, tra 8.000 e 10.000 secondo il Centro di ricerca medica indiana, oltre 25.000 secondo Amnesty International. Ad oggi si calcola che le vittime siano 20.000 e che 500.000 persone abbiano subito patologie di differente gravità per le conseguenze dell'inquinamento di terra, aria e acqua.


RISARCIMENTI l 16 dicembre 1984 un gruppo di avvocati statunitensi, specializzati nell’ottenere risarcimenti per le vittime di incidenti, arrivò a Bhopal. Preannunciarono a ciascuno dei milioni di Bhopalesi coinvolti nel disastro un risarcimento di un milione di rupie. La loro parcella sarebbe ammontata a circa un terzo del totale.

Il Governo indiano e quello del Madya Pradesh, nel 1985, richiedono alla Carbide un risarcimento di 3 miliardi e 300 milioni di dollari, per le vittime e le loro famiglie.
Solamente nel 1989 fu raggiunta una transizione in base alla quale la Union Carbide si impegnava a pagare 470 milioni di dollari per compensare parenti delle vittime e sopravvissuti. Tuttavia dei 470 milioni di dollari versati dalla Carbide, pagate le parcelle degli avvocati che avevano lavorato per il governo indiano, e le tangenti ai funzionari corrotti, le vittime del massacro hanno avuto un obolo di 300 dollari, non coprendo neanche le spese mediche.
Purtroppo l’unico risarcimento che gli abitanti di Bhopal hanno ottenuto riguarda solo quella percentuale di popolazione che fu colpita dal gas. Non vennero calcolati coloro che presentarono sintomi dopo qualche mese dall’incidente, nonché coloro che sono nati, dopo la catastrofe, da genitori “contaminati” e che presentano ad oggi malformazioni genetiche e malattie.   Gli abitanti di Bhopal, il governo del Madya Pradesh, le associazioni non governative che si occupano degli aiuti alla popolazione, e non solo, esigono che la Union Carbide/Dow Chemical compaia, al più presto, di fronte a un tribunale indiano, provveda alle cure mediche e al riscatto economico dei sopravvissuti, contribuisca al risanamento ambientale di Bhopal. Rifiutano l’ipotesi che con il risarcimento di 470 milioni di dollari la società abbia definitivamente assolto i propri obblighi. Quell’accordo fu stipulato tra la società e il governo indiano, non con le persone colpite dalla strage, nessuna vittima fu interpellata, e soprattutto non si tenne conto delle generazioni future. Inoltre, dovranno essere velocizzate le procedure per l’estradizione di Anderson, senza alleggerire i capi d’accusa. Un secondo insieme di richieste riguarda il comportamento che dovrebbe essere tenuto dalla Dow, e l’abilitazione a vendere, ora e in futuro, sostanze tossiche: l’8 giugno 2000, l’EPA vietò di fatto l’utilizzo domestico del Dursban, un pesticida tossico prodotto dalla Dow Chemical.

Il Dursban, tuttavia, viene ancora prodotto e commercializzato in India. Una qualsiasi campagna che cerchi veramente di rendere giustizia ai morti e ottenere risarcimenti per coloro che sono ancora vivi, deve lavorare per fermare le attuali scorie della Dow.
Il CEO dell'Union Carbide di quel tempo, Warren Andersen, ritiratosi in pensione nel 1986, il 1 febbraio 1992 fu dichiarato contumace dalla Magistratura Indiana di Bhopal, in quanto, come imputato, non si presentò mai davanti alla corte che lo accusò di omicidio. La richiesta di arresto fu inviata al Governatore dell'India e venne inoltrata una richiesta di estradizione dagli Stati Sniti. Tuttavia la domanda di estradizione non si materializzò mai.
Molti attivisti affermarono che il governo indiano esitò a formalizzare l'estradizione per paura dei contraccolpi che i maggiori investitori stranieri avrebbero potuto provocare sull'economia indiana, in seguito alla sua liberalizzazione. Vi fu inoltre un apparente disinteresse da parte del Governo Statunitense nel perseguire il caso che provocò, tra l'altro, forti proteste soprattutto da parte di Greenpeace. Venne richiesto al Central Bureau of Investigation Indiano di diluire le pene richieste da omicidio colposo a negligenza criminale, ma tale richiesta venne rigettata dalla corte indiana. Attualmente Anderson è ancora latitante a seguito di una condanna da parte della giustizia indiana che in base alle prove dovrebbe condannarlo ad almeno 10 anni di carcere. La Union Carbide dismise nel 1994 la sussidiaria indiana ad un'azienda locale produttrice di batterie. Nel 2001, la dow chemical acquistò la Union Carbide per 10,3 miliardi di dollari. La Dow Chemical ha dichiarato più volte che i risarcimenti erano pienamente sufficienti a compensare le responsabilità del disastro.



DANNI AMBIENTALI - Già nei primi anni dell’apertura della fabbrica, la Union Carbide iniziò a inquinare il sito dove sorgeva la sua industria. Infatti nei basti, che sorgevano vicino alla “bella fabbrica”, in uno dei loro pozzi si iniziò a sentire un forte odore pestilenziale. L’acqua era di uno strano colore biancastro, quei pozzi furono i primi a “scoprirsi” inquinati. Subito dopo questo episodio, la direzione della fabbrica fece delle analisi, i risultati furono così catastrofici che la stessa direzione ne vietò la divulgazione. I campioni di terra raccolti oltre il perimetro del reparto del Sevin avevano evidenziato un’elevata presenza di mercurio, cromo, nichel, piombo. Nell’acqua dei pozzi situati a sud, sud-est dell’industria, furono rilevati cloroformio, tetracloruro di carbonio e benzene. Una vera e propria contaminazione letale che i rappresentanti della Carbide non fecero nulla per eliminare. Il rapporto del 1982 avvertiva che, all’interno della fabbrica indiana, erano state riscontrate serie possibilità di fuoriuscita di materiale tossico in quantità considerevole, ma la Union Carbide non fece nulla per prevenire il disastro, anzi lo accentuò. Dopo la catastrofe della notte del 2-3 dicembre 1984, la Union Carbide abbandonò precipitosamente il sito industriale senza garantire alcun risanamento dell’area, lasciando sul posto enormi quantità di composti inquinanti. Gli isolanti dei tubi giacciono a brandelli, i solventi gocciolano sul terreno, sacchi abbandonati ancora pieni di prodotti tossici sono stipati negli angoli. Tonnellate di materiale e sostanze di scarto straripano, avvelenando le falde acquifere e i terreni di una comunità di ventimila persone. Infatti il terreno non è mai stato bonificato. Nel ’94 dopo varie proteste popolari e indignazione pubblica, 44 tonnellate di residui tossici catramosi erano stati rimossi. Ma nel novembre del 1999 Greenpeace ha condotto un’analisi del suolo, delle falde idriche e dei pozzi all'interno e all'esterno dell'impianto abbandonato della Union Carbide, trovando 12 sostanze chimiche tossiche e mercurio, un metallo mortale, in quantità fino a 6 milioni di volte superiori al previsto. La Carbide è accusata di violazione, anche, del diritto ambientale. Un nuovo studio del "The People's Science Institute" di Dehra Dun, il 30 settembre 2002, conferma la presenza di mercurio altamente tossico nell'acqua potabile di Bhopal, la cui concentrazione in alcune aree raggiunge i 2 microgrammi per litro, e avverte del grave rischio per la salute. La popolazione continua ad ammalarsi per l’acqua contaminata i cui valori di inquinamento sono 500 volte superiori agli standard previsti dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità. L’aria è tuttora satura di gas. Sempre Greenpeace presenta il 25 ottobre dello stesso anno delle "linee guida" per la bonifica del sito industriale abbandonato dalla Carbide al Primo ministro del Madhya Pradesh e contemporaneamente le consegna agli uffici della Dow in India, Europa e Stati Uniti. Ma sembra che le richieste non vengano ascoltate. La Dow Chemical ha sempre rifiutato di farsi carico delle conseguenze legali e finanziarie delle malefatte di Union Carbide. Il 19 aprile del 2004, due attiviste e vittime di Bhopal, Rashida Bee e Champa Devi Shukla, hanno vinto il prestigioso Goldman Environmental Prize, a San Francisco, in California, una sorta di premio Nobel per gli ambientalisti. Hanno deciso di impiegare il premio di 125.000 dollari in un Fondo per le cure mediche dei bambini nati con difetti alla nascita dovuti all'esposizione dei genitori a quella miscela tossica, in progetti di sussistenza per gli inabili al lavoro ed in una ricompensa per gli attivisti che operano contro i crimini delle multinazionali in India. Le stesse attiviste hanno iniziato uno sciopero della fame, il 18 giugno, per ottenere che nessun Certificato di Obiezione venga prodotto dal governo indiano sulla bonifica e la decontaminazione del sito industriale della Union Carbide.
Gli interventi dell'azienda per ripulire l'impianto ed il suo circondario da centinaia di tonnellate di rifiuti tossici, si sono fermati lasciando tutto com'era in precedenza. Gli ambientalisti hanno avvertito che questi rifiuti costituiscono un potenziale pericolo nel cuore della città e la contaminazione che ne risulta potrebbe provocare un lento avvelenamento nel corso dei decenni causa di danni al sistema nervoso, al fegato ed ai reni. Gli studi hanno dimostrato che i casi di cancro ed altre malattie hanno subito un aumento nella zona dopo il disastro. Gli attivisti hanno chiesto alla Dow Chemicals di bonificare l'area dai rifiuti tossici ed hanno fatto pressioni sul governo indiano affinché chieda un risarcimento più sostanzioso.
In un'inchiesta di BBC Radio 5 del 14 novembre 2004, è stato mostrato che l'area è ancora contaminata da 'migliaia' di tonnellate di sostanze chimiche tossiche tra cui esaclorobenzenee mercurio contenute in contenitori aperti o abbandonate sul terreno. Alcune aree sono così inquinate che chi vi si trattiene per più di una decina di minuti rischia una perdita di conoscenza. La pioggia trascina queste sostanze nel terreno contaminando pozzi e sorgenti d'acqua, i risultati delle analisi condotte per conto della BBC da laboratori di ricerca accreditati in Gran Bretagna mostrano livelli di inquinamento nell'acqua dei pozzi 500 volte superiore ai limiti di quel paese. Indagini statistiche condotte sulla popolazione residente nel luogo comparata con la popolazione di un'altra area in simili condizioni di povertà distante dall'impianto hanno mostrato una maggior incidenza di varie malattie nei pressi dell'impianto.


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